"La scienza polacca nel cuore di Roma" - intervista alla direttrice dell'Accademia Polacca delle Scienze di Roma

Nel numero 100 di Gazzetta Italia, un'intervista ad Agnieszka Stefaniak-Hrycko, direttrice dell'Accademia Polacca, sulla scienza polacca nel cuore di Roma. Vi invitiamo a leggerla!
La scienza polacca nel cuore di Roma
Le delegazioni estere del PAN hanno profili diversi. A Berlino, ad esempio, l'Accademia gestisce il Centro per la ricerca storica,che svolge un'intensa attività di ricerca sulla storia e sulle attuali relazioni polacco-tedesche, compresa l'elaborazione di libri di testo di storia in collaborazione con la parte tedesca. Mentre l'Ufficio per la promozione della scienza PoISCA a Bruxelles provvede a fornire agli scienziati polacchi notizie aggiornate sui programmi quadro dell'Unione europea. A Roma abbiamo avuto finora un profilo prevalentemente umanistico. Tuttavia, ora, considerando la grande eterogeneità della cooperazione scientifica polacco-italiana, abbiamo deciso di essere più interdisciplinari. Considerando l'importanza delle scienze umane, artistiche o sociali, vogliamo comunque essere un punto di riferimento per gli scienziati di diversi settori che vogliono collaborare con gli italiani o che vogliono condividere con loro idee e informazioni sulle loro ricerche. La nostra rete svolge funzioni di carattere scientifico e attività di divulgazione scientifica. Organizziamo convegni divulgativi: uno dei più recenti ha riguardato le ricerche archeologiche condotte in Sicilia. Allo stesso tempo, ci occupiamo anche della preparazione e della realizzazione di eventi legati all'attualità, di incontri con autori per presentare importanti libri dedicati all'Italia, di dibattiti che vertono sulla cooperazione scientifica.
Innanzitutto, abbiamo attivato il nostro profilo Facebook, dove segnaliamo tutti gli eventi che si svolgono presso la nostra sede, ma anche altre iniziative rilevanti per la scienza. L'anno scorso abbiamo realizzato il progetto "70 collaborazioni scientifiche polacco-italiane" in occasione del 70° compleanno dell'Accademia Polacca delle Scienze. Quest'anno stiamo pubblicando una serie di interviste con diversi scienziati e l'anno prossimo abbiamo in programma, come ho già detto, di iniziare a registrare podcast dedicati alla scienza. E, naturalmente, partecipiamo ad eventi scientifici importanti per la Polonia e per l'Italia, come il 550° anniversario di Copernico o il centenario del CNR.■



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Sullo studio della storia e della cultura cinese - intervista alla dott.ssa Laura Pozzi

Parliamo del amore per la Cina, dei tesori e delle curiosità dei musei cinesi, di cosa sia ‘Il secolo dell’umiliazione’ e del dinamismo controllato di Varsavia con la dottoressa Laura Pozzi del Dipartimento di Storia dell'UW. Una bella intervista per iniziare il weekend! Buon divertimento!
Ci parli della sua passione per la Cina.
La mia passione per la Cina è nata in modo casuale. Era il mio ultimo anno di liceo, e non avevo ancora deciso quale università frequentare. Una sera guardando la televisione mi sono imbattuta in un documentario sulla cucina cinese, e ne sono rimasta rapita. È così che ho deciso di inscrivermi alla Facoltà di Lingue Orientali dell’Università Ca’ Foscari, a Venezia. Nel gennaio 2005, dopo quasi tre anni di studi, sono atterrata a Pechino per la prima volta. Da allora la Cina è diventata il mio paese d’adozione. Per molti anni mi sono sentita più a casa in Cina che in Italia.
- Quali sono le differenze tra la prospettiva europea e quella cinese sul colonialismo?
In Europa esistono due tendenze principali. La prima attitudine è quella di minimizzare i lati oscuri del colonialismo, che viene romanticizzato come parte della storia nazionale, oppure volutamente dimenticato in quanto considerato ‘passato scomodo’. La seconda tendenza, invece, è quella di denunciare la brutalità del colonialismo e di studiare come le società contemporanee si avvalgano ancora di ideali ancorati nel sistema coloniale, come la modernità capitalista, il razzismo, e l’eurocentrismo. In questo caso, nella loro ricerca gli studiosi cercano di dare spazio alle voci e alle storie dei popoli colonizzati.
In Cina la situazione è diversa. Il Partito Comunista Cinese demonizza il colonialismo europeo (e quello giapponese). Per fare un esempio, il periodo che la Cina ha passato sotto il parziale dominio di diversi paesi europei e del Giappone viene chiamato ‘Il secolo dell’umiliazione’. Questo rifiuto del sistema coloniale europeo, però, non ha ancora portato ad una riflessione più ampia sull’impatto del sistema coloniale sulle pratiche sociali e politiche del paese. Quindi, mentre il governo cinese critica i governi occidentali per il loro imperialismo, in Cina non esiste né un dibattito pubblico sul colonialismo dell’impero Cinese, né sulle recenti pratiche neo-coloniali della maggioranza Han in Cina (Tibet, Xinjiang, etc.) e all’estero (specialmente nel Sudest Asia e in molti paesi africani).
- Perché ha deciso di lavorare in Polonia quando Lei fa una ricerca sulla Cina? Aveva già degli amici qui? O si è imbattuto in una borsa di studio interessante in Polonia?
Mi sono trasferita a Varsavia alla fine del 2018, dopo aver lavorato per tre anni come lecturer presso la Chinese University of Hong Kong. La mia esperienza lavorativa ad Hong Kong è stata molto gratificante, ma dopo tre anni di insegnamento ero pronta a trovare una posizione che mi permettesse di condurre un nuovo progetto di ricerca. Quando mio marito, anche lui un accademico, ha vinto un concorso all’Università di Varsavia, ho cominciato a cercare lavoro in Polonia. Per mia fortuna, i membri di Project ECHOES, un progetto finanziato dall’Unione Europea, stavano cercando uno specialista di storia Cinese per studiare la rappresentazione del colonialismo nei musei cinesi. La parte del progetto dedicata ai musei, e guidata dalla Professoressa Joanna Wawrzyniak, era basata alla Facoltà di Sociologia dell’Università di Varsavia. Ho mandato subito il mio curriculum. Diciamo che ero la persona giusta al momento giusto. Ho collaborato con il progetto per tre bellissimi anni.
- Lei ha trascorso diversi anni in Cina. In che modo l’incontro diretto con la cultura, la gente e le usanze locali ha influenzato la sua precedente visione accademica di questo paese così diverso?
Ho studiato cinese per due anni e mezzo prima di andare in Cina. A Venezia ho passato ore e ore a memorizzare ideogrammi e regole grammaticali che mi sembravano astruse. Più volte mi sono chiesta se avesse senso studiare una cultura così lontana dalla mia. I corsi che ho seguito erano interessanti, ma un po’ datati. È stato interessante leggere i testi di Confucio e Lu Xun, ma mi sentivo scollegata dalla realtà. Immaginatevi uno studente straniero che decide di studiare l’Italia e l’italiano leggendo Dante o Alessandro Manzoni senza mai visitare il paese. È stato come studiare una cultura immobile nel passato. Solo una volta arrivata a Pechino ho finalmente avuto la possibilità di incontrare una lingua viva, una cultura in continuo cambiamento, e un paese molto dinamico. È stata una liberazione. Direi che la mia vera educazione per quanto riguarda la Cina è iniziata solo una volta che sono arrivata a Pechino. Adesso capisco meglio anche Confucio e Lu Xun.
- Quale museo della Cina o di Hong Kong preferisce? Perché questo o questi?
Ce ne sono molti. Uno dei miei preferiti è il Nanjing Palace Museum. È famoso soprattutto per la collezione di porcellane Ming e Qing, ma la mia parte preferita è quella dedicata agli orologi del diciottesimo e diciannovesimo secolo. Alcuni orologi sono europei, altri sono di manifattura autoctona. Quest’ultimi sono molto particolari, in quanto gli artigiani locali hanno dato un tocco molto cinese ai classici orologi a pendolo che si incontrano nei palazzi europei. Ammetto di aver passato molto più tempo ad osservare gli orologi che le ceramiche. Un altro museo che ho visitato più volte è il Museo-Mausoleo del Re Nanyue, a Guangzhou. Il museo contiene la tomba del re Zhao Mo, il secondo re dello stato di Nanyue (secondo secolo AC), e tutti gli oggetti ritrovati duranti gli scavi, tra cui un’ armatura di giada con cui il re è stato seppellito. Altri musei indimenticabili: il Shanghai Museum, il Sanxingdui Museum e ovviamente il Museo Nazionale Cinese.
- Lei conosce o apprezza particolarmente qualche sinologo o storico della Cina polacco?
Igor Chabrowski, che ha scritto due libri sulla storia della provincia dello Sichuan. Ammetto però che potrei essere un po’ di parte: è mio marito.
- Quali idee Lei ha per ulteriori ricerche?
Sto cercando di studiare la storia della Cina al di fuori dei confini della Repubblica Popolare Cinese. I musei di storia in Cina sono molto nazionalisti, e il Partito Comunista ormai ha il controllo quasi assoluto delle narrative storiche che possono essere presentate in luoghi pubblici. La mia idea è di capire come la storia della Cina viene raccontata fuori dalla Cina stessa. L’anno scorso ho passato un mese in Tailandia per visitare musei costruiti dai ‘Cinesi d’oltremare’. In futuro mi piacerebbe studiare anche musei costruiti in altri paesi del Sud-est asiatico.
- Lei lavora presso il Dipartimento di Storia dell’Università di Varsavia. Ci sono molti stranieri nel suo dipartimento?
Non conosco il numero esatto, ma di certo il numero di stranieri che si aggira per i corridoi del dipartimento è in crescita. Il progetto di Storia Globale di cui faccio parte ha appena assunto un ricercatore indiano, mentre un altro collega dello stesso progetto veniva dalla Finlandia. Lavoriamo in stretta collaborazione con Prof Jie-Hyun Lim e il suo team all’Università Sogang (Seoul). A Gennaio abbiamo organizzato una conferenza di tre giorni per discutere l’idea di un ‘Est Globale’. Poi ci sono molti studiosi stranieri che spendono mesi in dipartimento per fare ricerca. L’anno scorso abbiamo ospitato uno studente Cinese che sta scrivendo un dottorato sulle relazioni economiche tra la Repubblica Popolare Cinese e la Repubblica Popolare Polacca negli anni cinquanta. Insomma, c’è molto movimento.
E a Varsavia? Le capita spesso di incontrare italiani? Li incontra in ambito scientifico, all’università o in altri istituti?
Ci sono molti italiani a Varsavia, e il numero continua ad aumentare. I miei vicini di casa sono italiani, così come il proprietario della gelateria sotto il mio condominio. Conosco solo una professoressa italiana che lavora in università, ma in compenso ci sono tantissimi studenti Erasmus italiani. Quindi l’italiano è una lingua molto parlata nei corridoi delle biblioteche e nei viali del campus.
Lei percepisce differenze nell’organizzazione delle università, nel finanziamento della ricerca in Italia e in Polonia?
Devo essere sincera: non ho mai lavorato in un’ università italiana. Sono il classico caso di ‘cervello in fuga’. Ho discusso la mia tesi di dottorato all’European University Institute, che per quanto sia a Firenze, è un istituto di ricerca internazionale. Dopo il dottorato ho sempre lavorato all’estero, quindi non sono molto informata sulle dinamiche dell’accademia italiana. Conosco però amici e parenti che lavorano in università italiane, e per quanto ho capito, alcune problematiche relative ai finanziamenti della ricerca sono le stesse in Italia ed in Polonia: non ci sono molti soldi (o almeno così dicono), si passa molto tempo a scrivere progetti per concorsi nazionali ed europei nel tentativo di attrarre finanziamenti, i progetti più modaioli o nazionalisti vengono spesso premiati, ed è sempre più difficile ottenere una posizione fissa. Direi che sono dinamiche comuni a tutto il mondo ormai.
- Lei ha studiato e lavorato in bellissime città italiane: Venezia, Firenze. Varsavia è completamente diversa da queste città. Come si sente qui? Cosa le piace? Cosa la sorprende?
Amo sia Venezia che Firenze, ma amo anche il dinamismo dalle megalopoli asiatiche. Uno delle caratteristiche delle grandi metropoli che mi ha sempre colpito è il loro continuo cambiamento fisico. Sono realtà urbane che sembrano in continua espansione e trasformazione, esattamente il contrario di molte città italiane. Non voglio contribuire allo stereotipo dell’Italia che non cambia mai: ovviamente le città italiane cambiano, ma al momento le trasformazioni sono lente e non particolarmente rivoluzionarie. Varsavia per me è una via di mezzo tra il semi-immobilismo italiano e la frenesia asiatica: è una città che cambia velocemente, ma non al punto da sembrare fuori controllo. È dinamica, ma non frenetica. Oltretutto, a differenza sia dei centri urbani italiani che asiatici, Varsavia è molto verde, una caratteristica che apprezzo molto. Negli ultimi anni sta diventando anche molto più internazionale. A parere mio, Varsavia è una delle città emergenti più interessanti d’ Europa.
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Premio "Antonio Feltrinelli" 2024

Gli scienziati sono invitati a nominare i candidati al Premio "Antonio Feltrinelli" per il 2024, assegnato dall'Accademia Nazionale dei Lincei!
Premi internazionali, ma anche categorie separate per gli Italiani.
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